L’ex ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini (ovvero Il manicomio di Mombello)

Il manicomio provinciale di Milano in Mombello nacque da un’urgenza: nel 1865, infatti, lo scoppio di un’epidemia di colera in città, pose fine a dibattiti circa dove costruire un nuovo “ospedale per matti” a Milano, creatisi in seguito del sovraffollamento del manicomio cittadino, la Senavra di via Cipro (angolo C.so XXII marzo.

Nell’agosto 1865 circa una sessantina di malati vennero dunque trasferiti dalla Senavra nella Villa Pusterla-Crivelli di Mombello in Brianza.

Questa sontuosa villa nel 1700 ospitò addirittura Ferdinando IV di borbone e, nel 1797, divenne quartier generale di Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Italia, che la preferì alla reggia di Monza.

Qui l’imperatore Napoleone fece convolare a nozze le sue due sorelle Paolina ed Elisa.
Nell’ottobre 1867, al termine dei lavori di adeguamento e ristrutturazione, i ricoverati nella succursale di Mombello erano 300: 150 donne e 150 uomini, rigorosamente divisi.

Cesare Castiglioni, direttore della Senavra ed esponente di spicco, insieme ad Andrea Verga e Serafino Biffi, della cosiddetta “scuola milanese” di psichiatria, organizzò Mombello come una colonia agricola per malati tranquilli e non bisognosi di “cure insistenti”.

In seguito alla decisione della Provincia di Milano di trasformare Mombello in manicomio provinciale, fra il 1873 e il 1878 (anno dell’inaugurazione ufficiale) vennero svolti ulteriori lavori di ampliamento, al termine dei quali i ricoverati superarono il migliaio.

Costruito “a villaggio”, Mombello ospitava, oltre ai reparti dei degenti, gabinetti scientifici, biblioteche per i medici ma anche per i ricoverati, laboratori di sartoria e piccolo artigianato, giardini e spazi coltivabili.

Come in ogni altro manicomio italiano, i ricoverati erano suddivisi sulla base del comportamento e non della categoria diagnostica, in reparti denominati “tranquilli”, “agitati”, “sudici”, “lavoratori” e così via.

Solamente i cosiddetti “agitati” erano tenuti in isolamento: tutti gli altri la maggioranza erano impiegati in attività lavorative considerate “terapeutiche” (ergoterapia era il nome scientifico della terapia del lavoro).

Nel parco si può notare un vecchio cancello rimasto ancora  in piedi.
Oggi il terreno adiacente è denominato “il campo della Palma” e un tempo ospitava il peggior reparto del complesso: quello degli agitati.

All’interno del complesso, miriadi di stanze e corridoi che terminano nel buio, ancora oggi evocano tristi vibrazioni e l’eco di grida disperate degli ospiti di quelle stanze.

Qui trovarono la morte molti di quei “pazzi” dei quali ci si voleva disfare, o li si voleva nascondere per non “vergognarsi”, facendoli semplicemente “sparire”.

Tra i tanti, nel 1935 venne internato e trovò la sua fine sette anni più tardi nel 1942, il figlio illegittimo di Benito Mussolini, Benito Albino, avuto da una relazione extra coniugale con la sua prima amante Ida Dalser, che fu Internato proprio nel reparto agitati, considerati i più pericolosi.

Un “delitto di regime”, come qualcuno lo ha definito, che rivela il “lato oscuro” dell’internamento manicomiale.

Ben presto nel corso del tempo il manicomio di Mombello iniziò a soccombere sotto un numero di malati sempre più elevato.

Durante la prima guerra mondiale, due padiglioni furono adibiti a ospedale militare di riserva per “osservazione e cura” dei soldati impazziti al fronte.

Si trattava di edifici staccati, a struttura autonoma, dalla capienza totale di 200 posti letto.

Nel primo anno di attività i militari accolti furono 635, 517 dei quali vennero dimessi, per una media di circa 150 ricoverati per volta.

A Mombello i soldati vennero sottoposti a “un trattamento psicoterapico di prim’ordine”, di cui clinoterapia (ossia terapia del riposo), libertà (per loro vigeva il no restraint assoluto) e un regime dietetico “ricostituente” (gli aumenti di peso registrati erano nell’ordine dei 10-15 Kg) costituivano gli ingredienti fondamentali.

Come la maggior parte dei ricoverati, anche i soldati furono messi “al lavoro”, tant’è che costruirono una strada per collegare il padiglione di vigilanza (estremo angolo sud-est) ai cosiddetti “padiglioni della pineta”.

A separare il manicomio dal resto del mondo ci pensava un muro di cinta alto due metri e lungo tre chilometri entrato a far parte dell’immaginario locale.

“Se non fai il bravo, ti porto de la del mur” dicevano i nonni ai nipotini irrequieti.

Ogni tanto qualche paziente lo scavalcava per scappare.

Oggi, invece, lo scavalcano per entrare.

Noi, siamo entrati dall’ingresso principale in quanto alcune strutture interne (circoli, scuole ecc…) erano aperte.

Il Villaggio Mombello, è considerato come uno dei dieci luoghi più spaventosi del mondo.

Non a caso, è finito anche su Tripadvisor, uno dei siti più cliccati per quanto riguarda escursioni fuori porta e vacanze, con tanto di commenti fra l’entusiasta e lo spaventato dei visitatori.

Entrare a Mombello è facile, farsi male altrettanto.

Per terra è pieno di cocci, vetri in frantumi, sporcizia di ogni genere.

I cunicoli sono bassi e rivestiti d’amianto.

Il soffitto è un susseguirsi di squarci giganteschi.

I muri pieni di scritte hanno ispirato writer di ogni rango.

Si leggono parolacce, bestemmie, frasi senza senso, messaggi d’amore.

Le stanze messe meglio sono state trasformate in bivacchi per senza tetto e tossici.

Poi letti sfondati, solchi sui muri, materassi rancidi, armadi pancia al suolo.

E ancora cassettiere rotte, sanitari incrostati, cartelle cliniche, radiografie e registri.

Nel 2015 quattro ragazzini arrivati apposta da Brescia si persero nei sotterranei, per recuperarli fu necessario l’intervento dei carabinieri.

Insomma, Mombello era il manicomio più grande d’Italia, un vero microcosmo, città nella città, all’interno del quale, fra le altre attività, vi è una parte oggi occupata dall’istituto statale agrario Castiglioni.

Negli anni non sono mancate le ipotesi di ristrutturazione e trasformazione.

Tuttavia, la destinazione urbanistica sociosanitaria dell’area, che di fatto ha impedito la costruzione di nuove residenze rendendo poco appetibile la zona sul mercato immobiliare, ha provocato una situazione di stallo.

Nel futuro del vecchio manicomio potrebbe esserci tuttavia un ritorno alle origini.

Regione Lombardia sta studiando l’ipotesi di trasformare i padiglioni Forlanini e Ronzoni in due Rems, vale a dire “Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza” destinate a sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi per legge.

Dentro, saranno rinchiusi uomini e donne che hanno commesso reati come omicidi, violenze sessuali, maltrattamenti in famiglia, ma che non possono essere detenuti nelle normali prigioni perché incapaci di intendere e volere.

2 Risposte a “L’ex ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini (ovvero Il manicomio di Mombello)”

  1. Nel 2009 io e altri due amici di avventure, abbiamo percorso tutti i circa 4 chilometri di cunicoli sotterranei, piegati in due a causa del soffitto troppo basso… Cunicoli di servizio che collegano le varie palazzine, pieni svolte a 90 gradi, di tubature acqua, gas, luce ecc. Si puo accedere da essi alla cappella, alla centrale termica ed anche alla villa padronale, quest’ultima ben sbarrata con porte blindate. Solo un paio di muri a interrompere il cammino. Ora non conosco lo stato attuale dei cunicoli, (se sono stati murati o meno) ma ricordo che ogni palazzina aveva almeno un accesso ad essi. Occorre assolutamente disporre di una bussola e di una pianta accurata dei percorsi, perchè si rischia davvero di perdere la strada per uscire. Ovviamente, sotto terra, il senso d’orientamento non esiste.
    Lo stress psicofisico, causa l’umidità, la temperatura, l’oscurità totale e l’ambiente claustrofobico, è molto alto.

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