Grotte di Catullo

Sulla costa meridionale del lago di Garda, all’estremità della penisola di Sirmione, in una splendida posizione panoramica si trovano i resti della villa romana nota da secoli con il nome di “Grotte di Catullo”, l’esempio più grandioso di edificio privato di carattere signorile di tutta l’Italia settentrionale.
Nel Rinascimento il nome di “grotte” o “caverne” fu usato per strutture internate e crollate, ricoperte di vegetazione, entro le quali si penetrava come in cavità naturali.

La denominazione di “Grotte di Catullo” risale al Quattrocento, quando la riscoperta delle liriche di Catullo, fra cui il Carme 31 in cui il poeta descrive il suo ritorno nell’amata casa di Sirmione, suggerì il collegamento con i grandiosi resti ancora visibili benché largamente interrati e coperti da vegetazione tanto da apparire come caverne.
Il primo ad attribuire la villa a Gaio Valerio Catullo fu, nel 1483, Marin Sanudo il giovane.
Tale ipotesi fu poi ripresa da eruditi e studiosi successivi, nonostante la villa oggi visibile sia stata costruita dopo la morte del poeta veronese.
Allo stato attuale non esistono elementi sicuri per localizzare la casa di Catullo.

Il termine è comunque rimasto e ancora oggi è utilizzato per identificare il sito archeologico.
Nel XVI secolo la villa fu meta di alcuni celebri viaggiatori fra cui la marchesa di Mantova Isabella d’Este Gonzaga (1514 e 1535) e Andrea Palladio, che compì la visita per studiare i resti sotto il profilo delle tecniche di costruzione.
La tradizione risalente al XV e XVI secolo ha identificato questo complesso come la villa di famiglia di Catullo, il poeta latino morto nel 54 a.C.
In base alla testimonianza dei versi di Catullo è certo che egli avesse a Sirmione una residenza, ma che fosse proprio in questa zona è soltanto possibile.

Sirmione apparteneva all’agro veronese ed è nota nel mondo antico anche per essere stata una stazione di sosta (mansio) lungo l’importante via che univa Brescia a Verona.
La prima rappresentazione dettagliata dei resti della villa è un rilievo dell’inizio dell’Ottocento.
Ampi scavi furono poi effettuati dal veronese Girolamo Orti Manara, che ne pubblicò i risultati in un’opera ancora oggi fondamentale.
La Soprintendenza ha iniziato nel 1939-40 gli scavi e i restauri e nel 1948 ha acquisito tutta l’area, permettendo la tutela del complesso immerso nel suo ambiente naturale.

Indagini recenti hanno consentito di accertare l’esistenza di un precedente edificio al di sotto dei vani del settore meridionale e di confermare che la costruzione attualmente in luce è stata realizzata con un progetto unitario che ne ha definito l’orientamento e la distribuzione degli spazi interni, secondo un preciso criterio di assialità e di simmetria.
La villa, che ha pianta di forma rettangolare (m. 167 x 105), con due avancorpi sui lati brevi, copre un’area complessiva di oltre due ettari.

Per superare l’inclinazione del banco roccioso su cui furono appoggiate le fondazioni dell’edificio, vennero creati grandi vani di costruzione, mentre in alcune zone si resero necessarie opere imponenti di taglio della roccia.
I resti attualmente conservati si trovano così su livelli diversi: del settore settentrionale ad esempio sono rimaste solo le grandiose costruzioni, mentre nulla è conservato dei vani residenziali, crollati già in antico.