Forte Militare Venini di Oga

Un po’ di storia

Il Forte di Oga, intitolato al capitano Corrado Venini, fu costruito a difesa dei principali valichi alpini dell’Alta Valtellina tra il 1908 e il 1912, quando in Europa era nell’aria un imminente conflitto con il confinante impero asburgico.

La struttura fu costruita seguendo alla lettera i migliori studi d’architettura militare di inizio secolo a cominciare da quelli del generale e ingegnere belga Henri Alexis Brialmont.

Furono impiegati grossi blocchi di pietra ricoperti da uno spessissimo strato di cemento, ed enormi quantità di ghiaia e sabbia estratte dalla vicina val Cadolena.

Proprio per portare in quota tutto questo materiale venne costruita l’attuale strada che conduce ad Oga, in sostituzione della precedente mulattiera dai tratti ripidissimi.

Alla solidità delle mura e alla sua posizione strategica, in vetta al Dossaccio, il Forte aggiungeva mille espedienti che lo rendevano inespugnabile.

Disponeva per altro di cisterne per l’acqua che, in caso d’assedio, potevano garantire l’autonomia dei suoi abitanti per oltre un mese.

Durante la Prima Guerra mondiale il Forte fu ampiamente sfruttato.

Nel secondo conflitto mondiale tuttavia il Forte non svolse alcuna azione difensiva.

I cannoni continuarono ad essere oliati e curati sino al 1958, anno in cui vennero venduti a peso come ferraglia.

Iniziò allora il degrado della struttura accelerato dai continui saccheggi.

Le condizioni attuali del Forte sono il risultato di un programma di recupero e di valorizzazione che ha riguardato anche la riserva naturale della torbiera che si sviluppa nell’area limitrofa.

Percorrendo la strada (rigorosamente a piedi in quanto è vietato qualsiasi transito di veicoli che non siano biciclette) dal punto in cui si deve lasciare il mezzo, dopo qualche decina di metri, sulla sinistra passato il ponte, si incontra la cosiddetta “casermetta”, costruita nel 1935 laddove esisteva una baita in pietra, in cui era dislocato un reparto della guardia di confine.

Finita la guerra, il Forte fu affidato alla Guardia di Finanza e nel 1935, come detto, ampliato con la costruzione della “Casermetta”.

Alla fine degli anni trenta fu stanziata qui una compagnia di artiglieri, pronta a rimettere in funzione i cannoni in caso di una nuova guerra.

L’edificio, restaurato a cura della Comunità Montana Alta Valtellina, è divenuto la “casa della riserva” dove si svolgono conferenze e attività didattiche.

La postierla o porta segreta

Proseguendo verso il forte, dopo il primo tornante, una postierla, ovvero una piccola o porta segreta, era utilizzata sia come accesso secondario, sia come via di fuga in caso di assedio sia come accesso per trasportare le polveri verso la polveriera, a cui è pure collegata.

Il Forte

Al successivo tornante si incontra il “sentiero della sentinella”, un percorso di ronda che racchiude le strutture di difesa del forte costituite dal fossato e dal sistema di reticolati che corrono lungo tutto il perimetro; la percorrenza del sentiero permette la visione di buona parte delle difese ancora presenti.

Percorrendo gli ultimi metri di salita si giunge al piazzale antistante il viale d’ingresso al forte che, passando accanto alla presa d’aria, conduce al portale di accesso.

La struttura del forte di Oga fa riferimento alla tipologia costruttiva frutto degli studi teorici a progettuali del Generale del Genio Enrico Rocchi, in particolare quello sui “tipi razionali di fortificazioni permanenti”.

L’opera nel suo complesso deriva invece dagli studi di forti corazzati del generale e ingegnere belga Henri-Alexis Brialmont, elaborati agli inizi del ventesimo secolo.

Varcato il portale d’ingresso si percorre il ponte originariamente a scorrimento, controllato dal corpo di guardia, il locale che si trova sulla destra, dal quale i militari, in caso di attacco nemico, potevano azionare il movimento aprendo il fossato esposto al tiro dei soldati con la possibilità di introdurre delle granate facendole scivolare dalle apposite caditoie.

Ora il corpo di guardia è adibito a “sacrario” con l’esposizione di alcuni cimeli di guerra.

È tuttavia ancora presente il volantino grazie al quale era possibile azionare il movimento del ponte e attraverso una stretta botola del pavimento si può accedere alla parte sottostante dove sono ancora visibili i vani e gli apparati ad uso del ponte mobile.

Proseguendo oltre l’androne d’ingresso si esce nel lungo cortile interno dal quale si può accedere a tutti gli ambiti del forte.

Sul lato meridionale vi sono la cucina, la dispensa, le latrine (ufficiali e truppa), i locali di carica e l’ingresso alla polveriera sotterranea; su quello settentrionale sono presenti i due ingressi al corpo principale e, all’estremo ovest la via di accesso alla copertura, un percorso estremamente interessante che permette di osservare da vicino il fossato che circonda il forte su tutto il perimetro ad eccezione del lato sud ovest.

Chi fosse riuscito a superare i reticolati esterni di filo spinato avrebbe dovuto saltare dall’alto muro per penetrare al suo interno, con pericolo di cadere sui micidiali cavalli di frisia costituiti da gruppi di punte di ferro acuminate posti a “istrice” a loro volta collegati da filo spinato, ed evitare i colpi di mitraglia delle due torrette a scomparsa che coprivano l’area e della caponiera aggettante sul cortile, che con tiro radente o fuoco d’infilata (cioè parallelo alle mura volto a colpire sul fianco gli assalitori), proteggeva il fossato e l’esterno del muro.

Salendo attraverso i gradini ricavati nella struttura si può apprezzare la distesa delle quattro cupole corazzate e intuire, osservando il magnifico panorama, come la localizzazione del forte potesse essere strategicamente determinante nel quadro del programma di difesa territoriale.

La gittata dei cannoni calibro 120/40 del forte – circa 12.800 metri – permetteva di colpire tutti i passi potenzialmente soggetti al pericolo nemico.

Entrando nel corpo principale tramite la porta occidentale vi sono quattro possibili opzioni di percorso: sulla sinistra la visita alla caponiera ovest e alla camerata ufficiali; sulla destra il corridoio al quale afferiscono tutti gli altri locali del piano terreno; verso nord è invece possibile accedere alla torretta di mitraglia occidentale a alla scala che conduce al piano superiore.

Incamminandosi a destra lungo il corridoio si ha il locale batterie seguito dalla stanza dove è ancora presente il generatore di corrente.

La corrente elettrica a servizio dell’intera struttura veniva prodotta grazie all’energia del motore a nafta posizionato in questa sala che muoveva la dinamo ad esso collegata.

Il generatore di corrente forniva una tensione di 130 volt e l’energia elettrica prodotta veniva accumulata in batterie ospitate nel locale attiguo.

Il motore era raffreddato ad acqua mediante le cisterne collocate in alto nella sala.
La marmitta del motore è posta a circa tre metri d’altezza sulla parte esterna del corridoio, collegata ad esso tramite un tubo.

Al fine di non segnalare al nemico la posizione del forte, il fumo denso e nero prodotto dalla combustione del carburante veniva filtrato attraverso il dissipatore visibile nel cortile: una cisterna contenente acqua nella quale i fumi depositavano la fuliggine, permettendo una depurazione del fumo che fuoriusciva nell’aria con una colorazione bianca.

L’interno di una cannoniera. Da notare le nicchie per i proietti di riserva, utilizzate durante i cannoneggiamenti a battente

Lungo il corridoio sono localizzati l’armeria, le camerate, l’infermeria e i magazzini dei proietti.

Alcune di queste stanze, essendo prive degli arredi originali, sono state allestite con riproduzioni fotografiche abbinate a frasi emblematiche associate a varie tematiche.

Al termine del corridoio una ripida scalinata conduce alla caponiera est e un disimpegno sulla sinistra porta alla torretta a scomparsa est che, come la sua omologa ad ovest, ospitava una mitragliera Gardner con gittata 2 km; la sua funzione era di difendere il forte da un eventuale attacco nemico di fanteria.

La torretta, ruotando manualmente, poteva battere l’intero perimetro del fossato e dei reticolati intorno al forte (aree all’epoca prive degli alberi adesso presenti).

Sempre manualmente la torretta poteva essere abbassata fino a scomparire nel suolo, da qui il termine “a scomparsa”.

Il piano superiore del forte è caratterizzato dalla presenza dell’ampio corridoio di batteria dal quale si sale per accedere ai pozzi per cannoni coperti dalle cupole corazzate che furono costruite nello stabilimento di Pozzuoli della fabbrica inglese Armstrong.

Il panorama stupendo, rende l’idea di come, allora e senza gli alberi attaccati al forte tutto attorno, si potessero controllare le valli

Esse poggiavano su grossi cuscinetti a sfera e ruotavano a 360° col cannone; sono di tipo “leggero”, spesse cioè solo 40 mm anziché 140 ed arano in grado di resistere solamente agli sharpnel a schegge di granate.

La scelta di tali cupole fu probabilmente dettata dal fatto che il forte si trovava in una posizione defilata rispetto al tiro delle artiglierie nemiche; in effetti il forte non fu mai colpito essendo fuori dalla gittata massima dei pezzi austriaci.

Da notare che l’incavalcamento e lo scavalcamento della canna dei cannoni poteva avvenire senza smontare la cupola.

Le migliaia di chilogrammi della bocca di fuoco venivano fatti scendere attraverso la scala interna che collega il corridoio di batteria e la cupola, utilizzando gli anelli incassati nei muri, argani, corde, muli e uomini.

Le altre stanze del piano erano destinate alle riservette e, in posizione defilata nell’angolo nord-est, alla sala comando dalla quale partiva un complesso sistema di comunicazioni con tubi in rame (interfono) che permetteva di comunicare con ogni riservetta ed ogni torre.

Per le comunicazioni a lunga distanza e collegare il forte con l’esterno e col comando situato ai Bagni di Bormio era stata allestita un’apposita linea telefonica che si diramava ulteriormente verso le vette italiane fino alla cima Trafoi da cui le vedette italiane comunicavano al forte gli aggiustamenti di tiro per le artiglierie.

Questa canzone, fino a metà anni 60 del 900, fu pressoché proibito o rischioso cantarla, perchè veniva considerata, a torto o a ragione, un “vilipendio alle forze armate” se non addirittura un incitamento alla diserzione.

Nella prima metà degli anni 60 fu cantata durante una Festa de L’Unità, e il gruppo intero fu fermato per 48ore “per accertamenti”.

Durante la visita, la corale Bilacus ci ha allietato con canzoni ben ambientate e adatte al luogo (canzone: Qui fa freddo)

Ora, finalmente, si è capito il reale significato.

Canto di protesta contro le terribili condizioni della guerra in cui, per conquistare pochi metri di terra, si devono perdere tanti compagni.

Fu scritto probabilmente tra il 16/12/1915 (episodio della “Trincea dei raggi” o “dei razzi”), ed il 29/3/1916 (quinta battaglia dell’Isonzo); dalle località menzionate nelle varie versioni del canto, la fanno risalire tra la fine del 1915 e l’inizio del 1916.

Alle pendici di Monte San Michele era allora situato un trincerone italiano, che verso valle andava al bosco Cappuccio (qui chiamato “monte Cappuccio”), e verso monte al bosco Lancia ed alle trincee delle Frasche e dei Razzi.

La conquista di quest’ultima (qui citata come “Trincea dei Raggi”), il 16 dicembre 1915, costò agli eroici fanti della Brigata Sassari che riuscirono a conquistarla con un assalto alla baionetta, la morte dei due terzi dei suoi soldati.

Canti come questo, da cui traspare – con inattesa sincerità – un sentimento doloroso verso l’obbligo del servizio militare e verso la guerra, non sono molto frequenti nel repertorio dei soldati, dato che la retorica celebrativa dei canti militari impone e diffonde ben altri testi.

Non ne parliamo di questa guerra
che sarà lunga un’eternità;
per conquistare un palmo di terra
quanti fratelli son morti di già!

Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia! – si va.

Trincea di raggi, maledizioni,
quanti fratelli son morti lassù!
Finirà dunque ‘sta flagellazione?
di questa guerra non se ne parli più.

O monte San Michele,
bagnato di sangue italiano!
Tentato più volte, ma invano
Gorizia pigliar.

Da monte Nero a monte Cappuccio
fino all’altura di Doberdò,
un reggimento più volte distrutto:
alfine indietro nessuno tornò.

Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia! – si va.

La Corale “Bilacus” ci ha allietato durante la visita guidata alla scoperta di segreti e curiosità della Fortezza.

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